Elena Zanella nel libro #Digital fundraiser spiega il lavoro che sta dietro i successi sul web di molte realtà del terzo settore: “Troppi hanno iniziato a usare lo strumento perché costava poco, ma senza studiarlo”

L'arrivo dei social media è stato subito apprezzato da buona parte delle organizzazioni non profit (ma non tutte). È stato visto come “l'ambiente naturale”, dove anche chi aveva poche risorse poteva usare uno strumento potente per arrivare al donatore. Peccato che “questa opportunità è stata giocata male, ci si è buttati a capofitto a comunicare senza formarsi per capirne le potenzialità” denuncia Zanella, consulente ed esperta di fundraising.

 

Provarci non basta, rovina reputazione e tempo

“Si è iniziato a fare le cose su internet senza alcuna strategia, per i social si è studiato ancora di meno” Il libro di Elena Zanella nasce con questo scopo. Va bene usare gli strumenti, ma se la tecnica richiede aggiornamento continuo, la strategia è una base solida intorno alla quale gira tutto il resto. “Anche quello che ho scritto sarebbe diventato vecchio molto velocemente se avessi parlato solo dei tools, dei siti o di attività pratiche”.

Un approccio approssimativo al mondo del digitale ha disilluso molti e non ha portato i risultati sperati. “Forse non c'è un costo effettivo per certe attività, ma si paga in reputazione e nello spreco di tempo. Si pensa che ci si possa provare senza grandi danni, ma non è così”.

volontari

 

Peopleraising e personal fundraising: vince la trasparenza

Uno dei capitoli del libro tratta specificamente di Peopleraising, ricerca di nuovi volontari e nuovi attivisti. “Anche in questo campo l'approssimazione non ha aiutato, invece il digital è una strada potente per ridurre le distanze andando a intercettare chi ha voglia di impegnarsi in modo attento e positivo. Posso stimolare il mio donatore, il mio utente, mantenere attiva una relazione”.

Crowdfunding e personal fundraising sono due opportunità che hanno trovato nuova linfa grazie alla rete: “Il vecchio passaparola, che funziona sempre, è tornato in voga. Mi avvicino alla non profit grazie a un mediatore, una persona che conosco. Questa persona fa da portatore di fiducia e trasparenza, che restano due basi importanti. Pure su internet questo principio non è cambiato, anzi è aumentato visto che molti rapporti umani si liquefanno sui social”.

Il peoplerising vive sulla fiducia e richiede tempo. “Così come tutta l'attività sul web” conferma Zanella “Si gioca sulla trasparenza, ma la relazione richiede mesi per diventare forte, a prescindere dal flusso di informazioni. Io, come non profit, devo avere il coraggio di mettermi alla finestra senza timore. Se ci fosse questa trasparenza, il terzo settore avrebbe subìto comunque gli attacchi che ha subito, ma senza timore”. Manca quindi il coraggio di non nascondersi, il che è freno per molte attività su un canale che fa della chiarezza un punto di forza. Specialmente quando si tratta di ingaggiare le persone e di farlo per andare al nostro posto a raccogliere fondi, come nel personal fundraising.

 

I tre punti fermi per il digital fundraising

Per Elena Zanella sono tre i punti da tenere in considerazione

  1. Il digitale non cancellerà né abbandonerà la carta o i vecchi metodi. “A distanza di 20 anni, il fax si usa ancora. Arriverà il momento del passaggio, quando i donatori vecchi non ci saranno più. Dovremo trovarci pronti, ma non attendiamo che accada a breve”. Serve perciò un passaggio graduale verso un fundraising integrato “sempre con gli occhi ai bilanci”.
  2. Il digitale è opportunità grandiosa, “Ci permette di giocare su un campo un tempo impossibile, di ridurre le distanze tra grandi organizzazioni e piccole piccole organizzazioni, soprattutto per quanto riguarda l'awarness, l'essere conosciute e riconosciute”.
  3. È riduttivo parlare di digitale nel fundraising: "con una logica differente, aggiungerei 'con contenuti capaci di adattarsi al contenitore che li ospita', lo diceva Bauman, non io. Credo valga ancora oggi”.

 

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