Antonio Brienza è un medico pediatra, formatore e personal coach, che da anni ha deciso di dedicare parte della sua vita a progetti solidali. Fa parte di Change Onlus, associazione nata a Milano nel 2005 e operante principalmente nell’area medica. Oltre all’impegno sul campo, Antonio ha deciso di attivarsi fin dal 2012 come personal fundraiser per raccogliere fondi a favore di progetti legati al Centro Sanitario Polispecialistico in Madagascar.

Ciao Antonio grazie per la disponibilità. Come sei entrato in contatto con il mondo della maratona e del personal fundraising?

Ho cominciato 4 anni fa e questa è la quarta volta che faccio il personal fundraiser. Ho iniziato nel 2012 in occasione della Milano Marathon, calandomi per la prima volta in vita mia nei panni di runner. L’ho fatto per sostenere Change Onlus, associazione di cui faccio parte, che si occupa di costruire e gestire strutture sanitarie in paesi del terzo mondo ed in particolar modo in Madagascar. Prima di tale occasione non correvo mentre ora lo faccio regolarmente. In quella occasione, per non fare una figuraccia, mi sono allenato da ottobre ad aprile. Inoltre ho migliorato la mia salute, ho perso qualche chilo ed ho cominciato a gustare la corsa all’aria aperta.

È stata un’esperienza splendida. In primis mi ha permesso di raggiungere il mio obiettivo, ovvero consolidare la struttura pediatrica di Change Onlus in Madagascar, ma anche premiante dal punto di vista umano in quanto alla corsa si sono uniti tanti amici che erano lontani dal mondo del volontariato. Un po’ per l’impegno che ci ho messo, un po’ per fortuna, in quella edizione sono stato il miglior fundraiser.

Per l’edizione 2016 della Milano Marathon, la tua pagina di raccolta fondi è già attiva. Ci racconti il tuo nuovo progetto?

Quest’anno la mia personale raccolta fondi nasce da un’emergenza. Il 5 novembre un tifone ha colpito il nostro ospedale, un gioiellino nel cuore del Madagascar situato in una zona senza strutture sanitarie su un altopiano lontano da qualsiasi località turistica. Il tifone ha provocato ingenti danni perché ha scoperchiato quasi metà ospedale ma soprattutto ha distrutto l’impianto di pannelli solari che oltre a renderci indipendenti energicamente riusciva a portare elettricità in alcune case limitrofe. Dal punto di vista economico stiamo parlando di decine se non centinaia di migliaia di euro di danni.

I lavori di ristrutturazione sono partiti. In quella zona a gennaio/febbraio arriva la stagione delle piogge e speriamo di realizzare gli interventi più importanti subito per poi ripristinare tutto il resto a seguire.

I risultati ottenuti come personal fundraiser sono stati ottimi. Come hai promosso la tua pagina di raccolta fondi?

Dal mio punto di vista al centro di tutto c’è sempre la persona. Dovendo fare un ranking delle cose che secondo me hanno importanza in una raccolta fondi direi:

1. Il progetto: deve essere significativo e rivestire un valore concreto e tangibile per le persone.

2Il cuore: ci devi credere. Il personal fundraiser deve essere credibile. La tua vita deve testimoniare che fai quello che dici. Il coinvolgimento nel progetto è pertanto essenziale. Ad esempio sono certo che se non fossi stato partecipe in prima persona del progetto in Madagascar, la mia richiesta avrebbe avuto un impatto emotivo molto minore.

3. Il metodo: Rete del Dono è stato per me centrale. Puoi mostrare in trasparenza tutto quello che sta accadendo, conoscere il progetto, vedere chi ha donato e sapere che la donazione è effettivamente andata a buon fine.

Vi spiego meglio come faccio per promuovere la mia raccolta. Come prima cosa pubblico tutto sul mio profilo facebook che conta 2/3mila amici virtuali di cui la maggior parte lo sono anche nella vita. Il mio messaggio non è un generico “Cari amici sto raccogliendo fondi per questo progetto in Madagascar, aiutatemi”, ma li contatto singolarmente con un messaggio personale. Dietro ai 120 donatori che mediamente hanno donato per la mia causa, ci sono circa 2.000 messaggi. Sono molte ore dedicate alla personalizzazione ma chi lo riceve sa che il messaggio è per lui e questo fa la differenza.

Poi mi avvalgo anche di una mia mailinglist personale che ho chiamato “Amici dei bambini del Madagascar”. Sono circa 400 contatti e a loro scrivo un messaggio collettivo sapendo che molti hanno già letto il mio messaggio su Facebook.

Infine ci sono mie iniziative individuali nei confronti di “grandi donatori” ai quali preferisco spiegare di persona la finalità della mia corsa solidale, magari durante una cena o comunque tramite un contatto diretto.

Corsa e solidarietà hanno qualcosa in comune?

Si, la corsa è una metafora della vita. Oltre a fare il medico sono anche formatore e personal coach. Ho imparato nel tempo che tanta gente è focalizzata solo sull’obiettivo, perdendo di vista il percorso. Ma se vedi solo l’obiettivo ti privi di buona parte della bellezza della corsa e della vita. Se ci pensiamo, il traguardo finale della vita non è poi tanto allegro per cui ad ogni passo dovremmo educare noi stessi a guardare il bello che c’è in ogni passo che percorriamo. La stessa cosa succede nella corsa. Parti per arrivare in un punto specifico ma l’importante è ogni singolo passo che fai per arrivare a quel punto.

Anche nella raccolta fondi è un po’ così. Ogni volta che arriva un messaggio da Rete del Dono legato ad una nuova donazione è una bella emozione, soprattutto perché quella donazione è legata ad una persona e me la ricorda. Ogni singolo atto del progetto è bello, non guardando solo all’obiettivo ma gustandosi quello che succede man mano che le cose procedono.

Mi sono reso conto dell’importanza del contribuire, del fare qualcosa per altre persone che non fanno parte della nostra vita quotidiana ma fanno parte della vita in senso cosmico. Come diceva Maslow, grande psicologo statunitense, il contribuire è l’atto finale della crescita di una persona. Contribuire è un aspetto spirituale della vita. Non tocca il tuo corpo, non tocca le tue emozioni ma tocca il tuo spirito. Vuol dire fare qualcosa per lasciare questo mondo un po’ meglio di come l’abbiamo trovato. Ed io credo in questa visione.