Con questa intervista approfondiremo il #GivingTuesday mettendolo a confronto con il Giorno del Dono. Per l’occasione abbiamo intervistato Luciano Zanin, presidente Assif - Associazione Italiana fundraiser, direttore scientifico di Confinionline nonché riconosciuto professionista fundraiser, consulente e formatore italiano.
Ciao Luciano. Oggi - 1 dicembre 2015 è il #GivingTuesday, giornata globale dedicata al dono. La scorsa settimana abbiamo intervistato Michela Lodovichi che da Londra ci ha raccontato il suo punto di vista da insider su questa ricorrenza. In Italia il #GivingTuesday non viene festeggiato ma da quest’anno è nato il “giorno del dono”, evento che (per legge) verrà celebrato ogni anno il 4 di ottobre.
Cosa pensi del #GivingTuesday e come lo relazioni con il giorno del dono italiano?
La giornata del dono è stata istituita per legge in Italia grazie al lavoro fatto dall’Istituto Italiano della Donazione (IDD) ed al sostegno del Presidente Emerito Sen. Carlo Azeglio Ciampi, primo firmatario del Disegno di Legge. Il 4 ottobre è una data significativa: si festeggia San Francesco di Assisi, patrono d’Italia, che ha dedicato la sua vita al prossimo. Nello scegliere questa data non si è pensato ad un collegamento con il givingtuesday, ricorrenza legata al Giorno del Ringraziamento che in Italia non viene festeggiato. Altri Paesi invece, vedi UK e Spagna, hanno seguito l’esempio USA con notevole successo nonostante il Ringraziamento non si celebri neanche da loro. Vedremo se in futuro in Italia si affermerà il givingtuesday o il 4 ottobre. Secondo me l’importante è che questo celebrazione venga percepita come un importante momento di riflessione e altruismo (donazione).
In che misura è possibile contribuire al successo di una festività legata al dono? In UK si sono attivati con una serie di attività per avvicinare le persone. Credi che in Italia ci sia il rischio di proporre un evento maggiormente istituzionale?
Penso che in Italia il dono, inteso come donazione in denaro, non abbia ancora un valore “sociale”. A mio avviso fino a quando il tema del dono non coinciderà con quello del raccogliere fondi, questa pratica funzionerà poco. In America, Germania e UK l’individuo non si attiva durante il #GivingTuesday perché è la giornata mondiale del dono ma perché hanno interiorizzato il dono come uno dei migliori investimenti per migliorare la qualità della vita di tutti.
È una questione culturale, non tecnica. La tecnica è utile, ma per cambiare veramente prospettiva dobbiamo attivare gli individui. Nella mia esperienza, laddove questo messaggio riesce a passare, il fundraising diventa un’attività naturale. Perché fare fundraising vuol dire stimolare il dono. Laddove invece non passa il concetto di dono, il fundraising diventa una tecnica per raccattare soldi. Una tecnica di marketing.
Mi auguro che la giornata del dono e #GivingTuesday si affermino e diventino occasioni in cui massimizzare l’attenzione su questo tema, abituando la gente all’esercizio del dono. Come fare? In tanti modi. Sicuramente attraverso la comunicazione ma, in stile collective impact, ci vuole qualcuno che faccia da punto di riferimento. Il collective impact si basa su 5 parametri:
- Visione comune del tema: dove si vuole andare;
- Elaborazione di indicatori che misurino l’impatto delle azioni sul medio/lungo periodo rispetto ai risultati che si vogliono ottenere;
- Avere un ente di riferimento che guidi/governi il processo (e per questo servono risorse);
- Grande attività di formazione interna (basti immaginare alla mole di comunicazioni tra le 1300 #nonprofit che partecipano quest’anno a #GivingTuesday;
- mettere in pratica una serie di attività reciprocamente rinforzanti: il buon esito dell’iniziativa di una organizzazione dovrebbe rafforzare l’opinione verso tutto il settore non profit.
#GivingTuesday raccoglie tutto ciò. Il giorno del dono, perché abbia successo, deve implementare questo modello. L’Assif, Associazione Italiana Fundraiser, sta lavorando proprio in questa direzione. Stiamo cercando di spostare l’attenzione dalle organizzazioni ai donatori. Al dono in sé. La donazione è l’esercizio del dono, e finché non si affermerà il dono, il fundraiser non verrà riconosciuto come merita.
Parlando invece di aziende, pensi che sia possibile un loro coinvolgimento forte in iniziative di questo tipo?
Sono convinto che le imprese for profit da questo tipo di attività possano ricavarne un grande valore e non solo in termini di comunicazione e di reputazione. In Italia però si tende ad agire singolarmente. Basti pensare che abbiamo 300 fondazioni d’impresa, un buon numero, ma non si ha l’impressione che portino avanti un messaggio condiviso. Gli imprenditori italiani che fanno questo genere di scelte si muovono spesso sulla base di decisioni personali, di esperienze individuali e non aziendali.
Sono certo che si arriverà ad un coinvolgimento condiviso ma c’è bisogno di qualcuno che tracci la via. Quando avremo raggiunto una buona massa critica, vedremo un cambiamento reale. E, se pur lentamente, questo cambiamento prima o poi giungerà.