Le oltre 100mila organizzazioni non profit che in Italia si occupano di cultura e sociale soffrono di una fragilità strutturale. Sono ancora una minoranza infatti quelle in grado di accedere al fundraising. Come fare in modo che si inverta questa tendenza? Ce lo siamo chiesti in un panel della seconda edizione di +Fundraising +Cultura, di cui siamo main partner a fianco della Scuola di Fundraising di Roma. Tanti gli spunti e le proposte per affrontare il tema dal punto di vista legislativo, amministrativo, fiscale e soprattutto culturale.
 

Il ruolo delle reti

“Le nostre Organizzazioni Culturali sono troppo piccole e troppo sole?” si è chiesto in introduzione Ledo Prato, dell’Associazione Mecenate 90. Ecco che allora una prima risposta è rappresentata dal ruolo centrale delle reti e degli enti di secondo livello - come fondazioni di origine bancaria e non - che oltre a proporre bandi devono sempre più andare nella direzione del supporto formativo, proponendo tra le forme di sostegno anche consulenze professionali e piani di fundraising. “Sarebbe utile in questo senso - è intervenuta Tiziana Caglioti, Responsabile Fundraising Mass Market del FAI - implementare un marketplace in cui possano incontrarsi domanda e offerta di servizi di fundraising e comunicazione, per orientare le Organizzazioni Culturali più piccole in questo mercato”.
 

Il ruolo delle fondazioni

Ha colto lo spunto Sandra Aloia (Fondazione Compagnia di San Paolo), che vede le fondazioni in grado di connettere enti, professionisti e policy makers: “Dobbiamo passare da una visione tolemaica a quella copernicana, che ci vede al centro di più ecosistemi: è necessario vedersi come alleati e capire che valore aggiunto a un progetto può portare ciascuna realtà. Le fondazioni devono rapportarsi alle Organizzazioni Culturali sempre meno singolarmente e sempre più con reti di scopo o di omogeneità”. Questo tramite i bandi, lo strumento principale per favorire il ricambio ma anche far emergere nuovi temi nelle agende politiche. “Potremmo poi svolgere un utile servizio di mappatura territoriale e sulla base di specifici temi, oltre che inserire le realtà che sosteniamo in un quadro internazionale attraverso il monitoraggio dei bandi comunitari e dei grandi dossier mondiali”.

E infine Marco Perosa di Fondazione Cassa Ascoli Piceno, nell’intervento di chiusura del 16 dicembre, suggerisce di andare oltre al modello tradizionale del bando per avvicinarsi a un modus operandi che lavori in primis sull’impatto e punti al lavoro di squadra.
 

Capacity building al centro

Alberto Cuttica (ENGAGEDin e Hangar Piemonte) ha invece insistito sull'investimento in competenze e risorse umane, sottolineando come lavorare sul fundraising non favorisca semplicemente la sostenibilità economica, ma sia anche un’occasione per le associazioni di acquisire consapevolezza su chi siano e cosa offrano, per poi proporsi agli stakeholders in maniera più matura: “Conoscendo la poca disponibilità di investimento economico sul fundraising, le fondazioni e gli enti pubblici potrebbero pensare a forme integrative di intervento come voucher formativi o per consulenze. Secondo, spingere le organizzazioni a investire risorse proprie, magari vincolando una quota dei contributi erogati all’acquisto di tool di lavoro come CRM. Si tratta di interventi semplici, ma che devono essere di sistema e continuativi nel tempo per essere efficaci”.
 

Il Crowdfunding come prima attività di fundraising

Proprio su accompagnamento e formazione punta Rete del Dono, che affianca le Organizzazioni Culturali presenti sulla piattaforma nella strutturazione della loro campagna di crowdfunding per portarla al successo: “Il nostro Premio Cultura insiste proprio su progetti di welfare culturale - ha ricordato Valeria Vitali - Avviamo le organizzazioni culturali ad avere una persona in modo costante sul fundraising e spesso la figura più adeguata è chi si occupa di comunicazione”. Il Crowdfunding così spesso diventa l’occasione per fare startup dell’attività di raccolta fondi: “Non è come partecipare a un bando: le associazioni devono conoscersi, raccontarsi, mettere a sistema i contatti che hanno (su cui manca quasi del tutto un approccio data-based), iniziare a uscire e coinvolgere davvero le persone trovando riscontro sulla bontà o meno del proprio operato. Il crowdfunding insomma come minimo spinge a lavorare sulla relazione con il proprio territorio e la propria audience. È il termometro del presidio dell’organizzazione sul territorio, della sua capacità di intercettare bisogni e soddisfarli”. 

 

Dono vs Sponsorship

È necessario continuare a lavorare sulla cultura del dono, affinché questo venga finalmente percepito come un vero e proprio investimento socio culturale. L’evento su questo tema si è rivelato una preziosa occasione di incontro, confronto e dialogo tra importanti aziende ed enti culturali e moltissimi sono stati gli spunti e le proposte emerse dal tavolo “Aziende e responsabilità culturale di impresa: da semplici filantropi ad investitori”.

Tra i tanti ci piace ricordare l’esigenza di trovare un linguaggio comune, di investire in formazione per poter contare su attori preparati e formati sia sul versante delle aziende che su quello delle istituzioni culturali. Le aziende in particolare chiedono a enti e organizzazioni, un maggior impegno nel creare una relazione diretta, personale, coinvolta e a lungo termine, non solo finalizzata alla richiesta di sostegno economico sul progetto one shot.

Tra gli interventi a chiusura citiamo quello di Francesco Castellone, Head of Communications and External Relations presso Gruppo Iren nostro Partner del Premio Crowdfunding per la Cultura. Illustrando la vision del suo Gruppo ha, a nostro avviso, ben riassunto il ruolo che possono e vogliono avere le aziende nel sostegno alle realtà culturali in un’ottica di “innovazione della narrativa del supporto alla cultura”. Il dottor Castellone ha infatti sottolineato l’importanza di instaurare collaborazioni di lungo periodo, strategia aziendale a suo avviso vincente ma che nasconde il pericolo che molte organizzazioni possano “sedersi” e non essere stimolate a coltivare proattivamente la relazione con l’azienda partner.

Enti e organizzazioni sono quindi chiamate a cambiare strategia e approccio, superando il vecchio paradigma della sponsorizzazione intesa come richieste di finanziamento di “Progetti preconfezionati” che non implichi il coinvolgimento dell’azienda nella co-progettazione e nella condivisione degli impatti generati sulle comunità di riferimento. E infine condividiamo anche il suo invito a inserire tra i parametri di misurazione di successo anche la comunicazione, intesa come Valore condiviso generato e che è fondamentale sia per l’organizzazione stessa che per l’azienda sua partner.

 

Un Art Bonus da potenziare

Sempre nell’ottica di diffondere la cultura del dono anche nelle organizzazioni culturali, un’arma importante è l’Art Bonus - aggiunge Valeria Vitali -: “Peccato che non tutti ancora conoscano questo strumento: bisognerebbe allargarne l’utilizzo e diffonderne la conoscenza tramite ad esempio notai, avvocati e commercialisti”. Ha sottoscritto la sollecitazione Greta Barbolini (Arci): “Insieme alla stabilizzazione del 2x1000, l’Art Bonus è l’opportunità che sprona le associazioni a cercare sostegno fuori di sé. È però necessario che la finestra per usufruire di questo incentivo sia ampliata, per permetterne la partecipazione anche alle organizzazioni più piccole che non sono gestori di servizi di carattere pubblico”.
 

Cultura e Riforma del Terzo Settore

Barbolini accenna anche alla Riforma del Terzo Settore, un passaggio che obbliga le organizzazioni culturali a crescere come visione e a mettersi in rete. Antonio La Spina (Unione Nazionale delle Pro Loco d'Italia) però sottolinea come la riforma paia sbilanciata sulle associazioni socio-assistenziali. Quel che è certo - spiega Francesca Liguoro - è che “non tutte le associazioni culturali si stanno adeguando e riconoscendo in questo quadro normativo, e potrebbero quindi restare tagliate fuori da alcuni flussi di finanziamento”. La leva principale per il welfare culturale rimangono tuttavia i bandi, che ormai prevedono spesso una formula di cofinanziamento che costringe a reperire autonomamente parte dei fondi: “Una formula utile, che però solo raramente aiuta a ragionare sul lungo termine: la finestra temporale è sempre ridotta e invece di strutturarsi ci si muove in maniera tattica ed estemporanea”.