Social media: sono il tema del momento, soprattutto per tutte le Organizzazioni Non Profit che vogliono utilizzare la comunicazione online per rafforzare il proprio fundraising. Che i social network siano efficaci siamo tutti d’accordo; la strategia perfetta, invece, si stenta a trovare. Da cosa dipende? Proviamo a capirlo assieme facendo riferimento a degli studi autorevoli realizzati negli Stati Uniti, dove la riflessione sull’argomento “come usare i social network per il mio fundraising?” è un passettino più avanti rispetto al nostro paese.
Da noi esperti e addetti ai lavori si confrontano incessantemente, chiedendosi come poter integrare al meglio i vari Facebook, Twitter, YouTube nelle loro strategie di comunicazione e coinvolgimento. Le case histories non mancano, anzi. Eppure la “next big idea” tarda ad arrivare. Mettiamoci anche un minimo di complesso di inferiorità rispetto a iniziative planetarie (nei numeri e nella diffusione) come la rassegna di secchiate di Ice Bucket Challenge, e il gioco è fatto.
Invece è proprio il confronto con queste best practice che deve far sorgere in noi la tenacia necessaria ad andare avanti contro tutti i pronostici. Ice Bucket Challenge ha raccolto nel 2014 ben 41 milioni di dollari a sostegno della ricerca contro la sclerosi laterale amiotrofica. Eppure non tutti sono in grado di dar vita a un’idea di questo tipo, capace di moltiplicarsi in modo virale nel mondo.
E allora, che fare? Innanzitutto stare sereni. Gli studi compiuti, come dicevamo, ci insegnano che non sempre è bene rincorrere i grandi numeri, ma che - almeno fino a quando non avremo Bill Gates tra i nostri testimonial - è più produttivo concentrarsi su obiettivi qualitativi: primo tra tutti, coltivare la propria community.
Una survey realizzata da M+R su 55 grandi Organizzazioni Non Profit d’oltreoceano ha dimostrato che il pubblico è sempre più attento a quanto condiviso sui social network in tema di fundraising. Secondo i dati resi noti a inizio mese, la tipica mailing list di una ONP è cresciuta del 14% dal 2013, mentre l’audience di Facebook del 37%, e quella di Twitter addirittura del 46%. Sempre in media, per ogni mille persone che si iscrivono a una mailing list di una organizzazione Non Profit, 199 diventano fan della pagina Facebook, e 110 iniziano a seguirla su Twitter. Numeri che continuano a crescere: per cui se è vero che bisogna pescare dove ci sono i pesci, è sicuro che nel prossimo futuro l’amo di tutti noi saranno i social network. Se non lo sono già.
Non a caso sta crescendo di molto la percentuale di charity che utilizzano i social network come strumento per promuovere partecipazione e donazioni. Lo dice il centro ricerche marketing dell’Università del Massachusetts: su 400 realtà intervistate, il 97% è attivo su YouTube, il 92% su Facebook, l’86% su Twitter. Le conclusioni dello studio sono chiare: anche se le attività sui social media non sono fatte per raccogliere denaro in modo diretto, sono essenziali per l’attività di fundraising nel suo complesso.
Ci sono però anche analisi concentrate su realtà di piccole e medie dimensioni. Una proviene dall’Arizona State University e dimostra che le dimensioni non contano quando si parla di social media fundraising. Ne sia prova il fatto che i donatori non sembrano fare differenza tra una grande charity e una realtà più piccolina: l’importante è fare del bene grazie alla Rete. A Buffalo lo chiamano “social media effect”: negli States è già una realtà, dobbiamo solo impegnarci affinché lo diventi a breve anche qui da noi, non concentrarci sui grandi numeri a ogni costo, ma lavorare sul consolidamento della nostra community di riferimento.