Di fundraising e politica si parla da tempo. Le potenzialità di questo strumento sono state ampiamente dimostrate, mentre i partiti italiani hanno già iniziato a muoversi alla ricerca di nuove forme di finanziamento, complici i recenti cambiamenti al quadro giuridico. Ma c’è un altro aspetto su cui è importante riflettere. Se pensiamo al fundraising politico come a una semplice raccolta fondi, non abbiamo capito il suo potenziale in termini di aggregazione del consenso di sostenitori, donatori ed elettori; un tema cruciale in un’epoca di indebolimento delle appartenenze. Il Fundraising, quindi, può diventare uno strumento reale per riavvicinare partiti e movimenti alla società civile, rinsaldando quel patto sociale che, a dire il vero, negli ultimi 30 anni si è allentato non poco. Abbiamo voluto approfondire l’argomento con Alberto Cuttica, consulente nel campo del Fundraising e autore, assieme a Simona Biancu, di “Partiti low cost? Dieci consigli per una politica più responsabile e trasparente”.
Alberto, lo scorso 21 maggio si è tenuto a Torino l’incontro Assif “Il finanziamento dei partiti e dei movimenti politici: nuovi strumenti per nuove opportunità?”. Di cosa si è discusso?
Il focus della discussione, a cui hanno partecipato rappresentanti di diverse forze politiche a livello locale e regionale, è stato fondamentalmente su due temi: come il tema del futuro finanziamento della politica si concilia con il progressivo disinteresse o allontanamento dei cittadini-elettori dalla politica e quali siano i presupposti su cui deve basarsi una strategia di engagement della comunità finalizzata anche al sostegno economico.
Il finanziamento pubblico ai partiti è uno dei temi centrali del dibattito pubblico da oltre vent’anni. A che punto siamo?
Dal mio punto di vista il tema, in occasione dell’ultima riforma del sistema di finanziamento, è stato affrontato in un modo “tipicamente nostro”. Stante anche l’umore popolare diffuso, l’ondata crescente di antipolitica generata dalle continue dimostrazioni di degenerazione etica nell’utilizzo del denaro in ambito politico e partitico, si è “buttato via il bambino con l’acqua sporca”. Aver eliminato in toto il finanziamento diretto dallo Stato dal 2017, lasciando sostanzialmente solo forme di sostegno come il 2X1000 o le donazioni, ci rende un’anomalia nel panorama delle democrazie mature. Non è automatico, ma è possibile che questo determini storture sistemiche, ostacolando l’attività dei Partiti, che rimangono una componente essenziale per il funzionamento di una democrazia.
Quali sono, secondo quanto emerso durante l’incontro Assif, le prospettive più praticabili per il nostro paese? Possiamo importare tout court il concetto di lobbying da oltreoceano?
Personalmente non comprendo del tutto – se non legate a strumentalizzazioni – il timore sollevato di fronte al tema delle donazioni private. Sono sempre state previste e utilizzate, peraltro senza i tetti stabiliti ora (anche se aggirabili e aggirati anche attualmente). Certo, erano controbilanciate da sostanziali finanziamenti pubblici, ma non penso si possa affermare che ora la politica sarà in mano alle lobbies. Credo che sarà ampiamente dimostrato che un fenomeno consolidato e intrinseco alla cultura americana non sia replicabile nel nostro Paese.
Il timore è che semplicemente si vada rapidamente verso una insostenibilità economica del sistema di gestione a cui i partiti sono abituati.
E, sulla scorta di questo cambiamento, come cambierà il fundraising politico?
E’ il cuore dell’argomento: l’impressione è che i partiti non abbiano compreso, per lontananza culturale, che senza un ribaltamento dell’impostazione concettuale le prospettive non sono affatto rosee. Se non si ristabilisce una relazione fiduciaria di coinvolgimento e ascolto, non demagogico, con i sostenitori e soprattutto i potenziali sostenitori, non ha senso attendersi né un riavvicinamento del cittadino alla politica, né tantomeno un intervento di supporto.
In un concetto: dialogo, coinvolgimento reale su valori e visione del mondo, creazione di una progettualità diffusa e condivisa. Da lì si può ripartire. E’ il cardine del fundraising in generale, vale in particolare in questo momento per la sua applicazione alla politica.
Che ne pensi delle campagne di crowdfunding politico? Possono funzionare? Hanno un futuro anche nel contesto culturale italiano?
Penso che il crowdfunding, nella sua essenza di finanziamento diffuso e “dal basso”, sia concettualmente la forma di sostegno più adatta alla politica, perché sarebbe il termometro di un’ottima salute politica. Il crowdfunding presuppone condivisione e partecipazione. Due elementi fondanti della politica. Altrove, soprattutto negli Stati Uniti, è uno strumento con una certa tradizione, ma certo l’exploit di Obama non è facilmente replicabile!
In Italia, per tutte le ragioni già dette, e considerando ancora che i giovani negli anni si sono progressivamente allontanati dall’impegno politico, non abbiamo esempi significativi di crowdfunding in questo campo (mi viene in mente solo il percorso compiuto da Fabrizio Barca con Luoghi ideali). Ma se il presente è più legato ai due estremi tradizionali, cene con imprenditori e fiere di partito, è giusto essere ottimisti per il futuro: il crowdfunding, oltre che uno strumento, sarebbe anche un modo per educare ad una relazione sana e trasparente con i sostenitori.