Mettete insieme un gruppo di persone e fate questo esperimento. Assegnate ad alcuni il ruolo di "tamburellatore", chiedendogli di tamburellare con le dita una canzone famosa. Gli "ascoltatori" devono cercare di riconoscerla. E' l'esperimento di una laureanda in psicologia della Stanford University, ripreso nel famoso libro di Chip & Dan Heath "Idee forti".

I tamburellatori, prima di iniziare l'esperimento, ritenevano che il 50% degli ascoltatori avrebbero riconosciuto la canzone. Risultato: ce l'ha fatta solo il 2.5%. E' quella che i fratelli Heat chiamano "la maledizione della conoscenza", ovvero possedere informazioni e abilità che ci rendono impossibile immaginare che cosa si prova a non averle. Non riusciamo a ricordarci com'era quando non le avevamo. Di conseguenza, diamo per scontato che gli altri debbano fare e capire qualcosa con la nostra stessa velocità. Purtroppo non è sempre così. Anzi, quasi mai.

Ed eccoci al punto. Il fundraising è fatica. Richiede dedizione, strumenti, mailing, sensibilità, segmentazione, ostinazione, fantasia, padronanza dei social network e tanto altro ancora. Non c'è una strategia valida per tutti i fundraiser, così come non sono mai uguali le reti di persone alle quali viene indirizzata una richiesta di donazione. E' un mestiere. E quando non è un mestiere, è qualcosa che si impara strada facendo, cambiando direzione quando ci si ritrova in un vicolo cieco. Provando e riprovando. In un mio precedente post, "Parlate con loro", invitavo le Organizzazioni Non Profit a parlare con i runner/fundraiser, a raccontargli la storia della loro buona causa, a trasmettergli passione, a costruire una relazione.

Sono sempre le Organizzazioni Non Profit quelle a cui mi rivolgo. Le invito a trasmettere le proprie competenze di fundraising a chi non ce l'ha. Perchè un runner è una persona come tutte le altre, quindi non è necessariamente un fundraiser. Se qualcuno non gli dice cosa/come fare per ottenere un risultato in un ambito assolutamente nuovo, è molto difficile che ce la faccia da solo. Provate a tamburellargli "We are the champions" e vedete se la riconosce. Se non ce la fa, iniziate a spiegargli tutto. Da zero.

Il fundraising è fatica. Non solo per chi lo fa, ma anche per chi lo insegna. Lo è in una classe, con delle persone educatamente sedute ad ascoltare. Immaginate di farlo via mail, o al telefono, a spizzichi e bocconi nel corso di una giornata di lavoro, colti "nel cammin di nostra vita" da qualcuno che ci chiede quale foto usare, che lunghezza deve avere il testo, quanto chiedere come donazione minima. E' richiesta tanta pazienza (tanta pazienza, tantissima), nel parlare come nell'ascoltare. Alla fine della decima telefonata nella quale ripetiamo la stessa identica cosa a dieci persone diverse, ci sentiamo frustrati perchè è come se le avessimo dette a una sola. "Possibile che non capisca????". La maledizione della conoscenza, appunto. Per noi è così naturale che potremmo dirlo cantando, mentre gli altri proprio non ci arrivano. Non è una maledizione azteca, è la normalità. Insegnare è faticoso.

Mi viene in mente Einstein, quando diceva "Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi". O anche il proverbio "Roma non è stata costruita in un giorno". Se vogliamo che qualcosa accada, dobbiamo lavorare duro perchè ciò avvenga. Invitare qualcuno ad aprire una pagina di donazione è solo il primo passo. Poi, a ognuno la sua parte. A noi, fundraiser "esperti" e Organizzazioni Non Profit, tocca raccontare, spiegare, non lasciare i nostri sostenitori abbandonati a se stessi. Diamogli strumenti, idee, motivazioni, metodo.

Fate questo esperimento. Provate a cantare una canzone famosa davanti a un gruppo di persone e, solo dopo, a tamburellarla con le dita.
Probabilità che venga riconosciuta? 100%.