“Lo sport è quel pezzo di strada che c'è tra noi e la felicità” dice sempre Daniele Cassioli. E alla felicità, proprio come allo sport, hanno diritto tutti. Non è però sempre così, perché ancora oggi sono tanti, troppi i ragazzi diversamente abili che non fanno sport. Anche Daniele ha rischiato di essere uno di loro: “Per fortuna io lo sport l’ho incontrato, e mi ha trattato come un bambino ‘in grado di fare’ e non semplicemente ‘incapace di vedere’”. Ecco perché Daniele, con 25 titoli mondiali di sci nautico alle spalle, ha fondato Real Eyes Sport, Associazione Sportiva Dilettantistica che promuove in tutta Italia lo sport per chi è diversamente abile.

 

Lo sguardo oltre l’ostacolo

 

Real Eyes Sport nasce un po’ per caso, quando Daniele nel 2016 subisce un infortunio che lo tiene lontano da gare e allenamenti: “Ho cominciato a girare l’Italia per incontrare e offrire nuove opportunità a bambini non vedenti e ipovedenti. Ben presto mi sono reso conto che con un’associazione avrei potuto strutturare meglio le mie attività”. Un’associazione nata da un infortunio insomma: ancora una volta, per Daniele un ostacolo è stato solo un pretesto per sfidare se stesso: “Che i nostri limiti siano fisici o non, lo sport ci insegna a guardarli in faccia e che con l’impegno si ottiene sempre qualcosa. Quando si decide di mettersi in gioco, al di là del risultato, non si perde mai perché quel che conta è fare il meglio possibile, non essere il migliore”. I limiti ci possono finire oppure definire, se abbiamo la forza di non fermarci davanti ad essi.

 

Una medicina senza effetti collaterali

 

Pensate quanto questi concetti siano fondamentali per un bambino disabile, che al giorno d’oggi è circondato da un team di specialisti preziosi, ma che talvolta rischiano di restituirgli un’immagine di sé monodimensionale: “L’approccio terapeutico rischia di mettere in secondo piano l’importanza del gioco. Quando ci ricordiamo che sono dei bambini, che hanno il diritto di divertirsi e crescere spensierati? Lo sport invece educa la persona più che la disabilità, agisce sul suo benessere psicofisico e di conseguenza anche sulla sua salute”. Attraverso la sfida con se stesso il bambino prende consapevolezza di sé e delle proprie capacità; ogni nuovo gesto tecnico appreso è un passo in più verso l’autonomia, genera autostima e motivazione; infine il rapporto con i coetanei sviluppa capacità sociali e di empatia.

 

Un vuoto da colmare

 

Eppure in Italia manca un sistema di sport di base per i ragazzi e le ragazze diversamente abili. “Mi sono accorto di quanto quello che per me era stato naturale, grazie alla lungimiranza dei miei genitori, ancora oggi per la maggioranza di loro non sia la normalità. E come si può parlare di pari opportunità se un bambino non vedente deve fare 2 o 3 ore di auto per trovare una struttura dove praticare sport?”. Il progetto Spazio al gesto - Move as you are! punta proprio ad avviare all'attività motoria bambini con disabilità visiva. Lo fa sia chiedendo donazioni per fornire alle famiglie dei kit di allenamento di vari sport (calcio, lancio, corsa, atletica), sia rivolgendosi alle aziende, che possono adottare un polo di allenamento inclusivo e farlo così nascere nella loro città.

 

Un polo di allenamento in ogni città

 

Io stessa mi sono appassionata alla sfida di Daniele e mi sono impegnata personalmente per raccogliere fondi per il primo polo sportivo su Milano. In occasione del mio compleanno ho avviato una campagna e raccolto oltre 5mila euro che serviranno proprio per questo.  L’obiettivo è ambizioso: arrivare ovunque, essere capillari e raggiungere più famiglie possibili: “Stiamo arrivando anche a Padova, Genova e Napoli" aggiunge Daniele. "Non appena ci contattano almeno 5-6 genitori, noi ci muoviamo per incontrarli, trasferire competenze e far nascere un circuito di gare”. Vediamo le famiglie rinascere, il campo di allenamento diventa un luogo dove respirare aria fresca e fare amicizia con altri genitori. “Già sapere che non sei solo è importante, e spesso anche educatori e insegnanti ci dicono che da quando il bambino fa sport è cambiato, è più attivo, partecipe e sicuro di sé”. La raccolta fondi è importante anche per fare cultura: “Oggi ciascuno di quei donatori sa che chi non vede può fare sport. Ma vogliamo farlo sapere ben presto ad ogni città d’Italia”