Crowdfunding è un termine di moda: se ne parla tanto, nei mass media come nel passaparola tra aziende e associazioni in cerca di finanziamento. Finora, in Italia, sono ancora relativamente poche le persone e organizzazioni che hanno promosso un progetto e sono ancora meno quelle che hanno avuto successo. La letteratura, le best practice, i manuali disponibili sono costruiti prevalentemente su casi stranieri. Eppure, l’Italia è un paese dinamico: le piattaforme sono numerose e la prima sta per compiere i 10 anni di esperienza, abbiamo regolato l’equity crowdfunding, possiamo vantare qualche progetto di grande dimensione nel reward-based crowdfunding e una quantità significativa di progetti donation based.

Anche per questo, per raccontare il crowdfunding in Italia è necessario partire dalle storie e dalle esperienze delle piattaforme e dei progettisti italiani, senza perdere il confronto con l’estero. E’ quello che ho fatto – con Paola Peretti e Chiara Spinelli – in “Crowdfunding. La via collaborativa all’imprenditorialità”, edito da Egea. Un libro che non propone ricette astratte, ma parte dai racconti di esperienze concrete, per individuare i tratti che caratterizzano una pratica ancora in via di definizione.

Il libro ospita un’intervista a Valeria Vitali, che presenta Rete del Dono e riflette sulle differenze tra crowdfunding e personal fundraising: “Il personal fundraising noi lo vediamo come un’estensione del crowdfunding in cui io, individuo sostenitore di una buona causa, non mi limito a donare ma avvio una piccola campagna di raccolta fondi a sostegno dell'Organizzazione Non Profit che più mi sta a cuore e coinvolgo parenti e amici in questo gesto di solidarietà invitandoli a donare per la causa in cui credo”. E un’intervista a Maria Chiara Piccioli che presenta la campagna “Conquistiamoci la Luna” del Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.

Inoltre, abbiamo pubblicato i risultati di una ricerca da noi realizzata attraverso interviste a Organizzazioni Non Profit (ONP) e Personal Fundraiser che hanno utilizzato Retedeldono. In sintesi, le esperienze raccolte mostrano che:

  1. I Personal Fundraiser rappresentano una sorta di ponte tra l’organizzazione non profit e i nuovi o potenziali donatori. Si configura un nuovo profilo di volontario: quello che, anziché (o oltre a) donare tempo, competenze e denaro, “dona la propria rete di contatti”. In altre parole, si fa ambasciatore di una causa donando e invitando amici-parenti-conoscenti a donare.
  2. Prevale la causa sull’organizzazione: per i donatori/finanziatori la scelta della causa promossa (o il progetto promosso) è più importante dell’organizzazione non profit stessa che la propone. Ciò va a ridurre, in termini di capacità di attrarre investimenti, le differenze tra le associazioni molto conosciute e quelle minori.
  3. Il Personal Fundraiser durante la campagna diventa un “media”, ovvero una cassa di risonanza che racconta la causa e il progetto che sostiene a tutti i suoi contatti attraverso tutti gli strumenti, online e offline, che ha a disposizione. Il Personal Fundraiser segue un processo strutturato: informa, stimola, coinvolge e raccoglie.
  4. Il Personal Fundraiser vive la sua campagna di raccolta fondi come una sfida. È facile trovare esempi di Personal Fundraiser di successo nel mondo dello sport, perché spesso sport e solidarietà vanno di pari passo, ma questa attività è anche declinabile in altre sfide: smetto di fumare, mi laureo, compio gli anni, altro.
  5. Lo storytelling basato su storie personali presenta alte percentuali di successo, mentre è più difficile coinvolgere sostenitori e donatori in progetti di storytelling collettivo.
  6. Le piattaforme “reintermediano” relazioni apparentemente disintermediate. Lo fanno attraverso il design dei servizi, ma soprattutto attraverso un’attività costante di consulenza e supporto oltre che di garante del processo.
  7. Nella maggior parte dei casi, il Crowdfunding integra e non sostituisce i canali tradizionali di fundraising.
  8. L’esito di una campagna è determinato – in larga misura – anche dalle relazioni tra Personal Fundraiser. Dinamiche di competizione ludica possono favorire il raggiungimento di migliori risultati.

 

Il ruolo che si delinea per le organizzazioni non profit non è più quello tradizionale di fundraising diretto con i propri volontari o simpatizzanti. Attraverso il personal fundraising (inteso come forma di crowdfunding), le ONP diventano “piattaforme” di supporto progettuale e logistico per i Personal Fundraiser, che intendano mobilitare le proprie reti sociali per attrarre finanziamenti per un progetto specifico (e non per l’organizzazione in senso lato).

Per far questo, l’ONP deve acquisire o sviluppare competenze specifiche – tecniche, tecnologiche e progettuali – ma soprattutto farsi promotrice di iniziative di coinvolgimento, supporto e formazione ai Personal Fundraiser.

Vale poi per le ONP la regola generale del crowdfunding: la campagna non finisce con la chiusura della raccolta fondi ma con la rendicontazione del progetto. Il crowdfunding favorisce il coinvolgimento dei finanziatori durante la fase realizzativa, inaugurando nuove pratiche di partecipazione. Nel libro abbiamo raccolto qualche esperienza di riferimento ma è su questo – più che sulla raccolta fondi in senso stretto - che il crowdfunding ha più strada da percorrere.