1.052 chilometri a piedi in un mese, 40mila passi al giorno, 30 tappe. Dopo la diagnosi di un tumore e un infarto, Alessandro Lorenzi, pensionato bergamasco, decide di percorrere l’intero Cammino di Santiago. “Ma volevo avere una motivazione in più”, ha detto. Così decide di essere un Personal Fundraiser e raccogliere quasi 3mila euro per l’Associazione Italia per la Ricerca sul Cancro (AIRC). Abbiamo intervistato Alessandro per conoscere la sua incredibile storia.
Ciao Alessandro. Lo scorso ottobre 2015 decidi di partire in moto per un viaggio che ti porterà a Lourdes e a Santiago de Compostela. Ci puoi raccontare com’è nata questa iniziativa?
Nel 2014, mi viene diagnosticato un tumore neuroendocrino. A gennaio mi sono sottoposto a un’operazione e dopo 6 mesi vengo colpito da un infarto. Sono state le cause scatenanti. Ad ottobre 2015 ho deciso: prendo e vado. Direzione Lourdes. Salgo sulla moto e da solo percorro 5.600 chilometri, al freddo, da cardiopatico. Una volta arrivato al Santuario ho deciso di lasciare la moto e incamminarmi a piedi verso Santiago de Compostela: in quella occasione ho percorso quasi 200 chilometri. Ma non mi è bastato, così ad aprile di quest’anno ho deciso di percorrere il Cammino per intero, partendo da Saint Jean, in Francia. 1.052 chilometri in 30 giorni. Dal Mediterraneo all'oceano.
Quindi durante l’anno del Giubileo della Misericordia hai deciso di lanciarti in un’iniziativa solidale…
Esatto. Perché non si tratta di intraprendere il Cammino per andare a venerare una statua o visitare un santuario. Ogni pellegrino ha una sua motivazione personale. Io ho deciso di sostenere l’AIRC e di valorizzare questa esperienza e raccogliere fondi per la Ricerca attraverso Rete del Dono.
Perché hai scelto di sostenere la ricerca sul cancro?
Mi ha dato una motivazione in più: più alta e meno egoistica. Ho pensato che mi avrebbe fornito più stimoli. Ed effettivamente è stato così. Stiamo parlando di camminare per 40 chilometri al giorno e senza una motivazione vera sarebbe stato difficile. Mi sono stupito di come stava reagendo positivamente il mio fisico a quello sforzo estremo. È stato come nella vita di tutti i giorni: per andare avanti serve motivazione.
Inoltre c’è anche il fattore della soddisfazione personale. Quando le persone mi incontravano per strada, vedevano il logo dell'AIRC e iniziavano ad interessarsi a quello che stavo facendo. Molti di loro mi hanno fatto sentire importante. È stato molto gratificante.
Come sei riuscito ad organizzare e promuovere la tua raccolta fondi? Ci racconti la tua esperienza in qualità di Personal Fundraiser?
Innanzi tutto ho contattato l’AIRC per chiedere l’autorizzazione ad utilizzare il loro logo. Una volta concessa l’ho fatto stampare sull’abbigliamento, l’attrezzatura e lo zaino. Nel giro di una settimana avevo tutto pronto, ho aperto la mia pagina su Rete del Dono ed ho fissato il mio obiettivo di raccolta a 2mila euro.
Sono così diventato Personal Fundraiser e, una volta in cammino, ho iniziato a promuovere il link alla pagina per le donazioni. E' stato tutto molto semplice. Ho usato anche facebook: scattavo un sacco di foto, circa trecento al giorno, e appena possibile ne caricavo una selezione su un album creato apposta per l’iniziativa. Ho anche mandato un sacco di messaggi su whatsapp ai miei contatti.
Dal punto di vista logistico invece non è stato molto semplice. Dopo un’intera giornata passata a camminare, spesso in sentieri sperduti, giungevo nelle località dove c’erano gli ostelli per i pellegrini. In quel momento dovevo occuparmi della mia cura personale e di quella dell’attrezzatura. Bisognava asciugare e pulire bene le scarpe, lavarsi e mangiare. E solo dopo potevo mettermi a cercare una connessione e comunicare con il resto del mondo. Inoltre, ho capito che in Italia non c’è una grandissima cultura del dono. Conosco molte persone che hanno una grossa disponibilità economica, ma non è stato facile ottenere un contributo da loro mentre magari ci sono stati pensionati con la minima che hanno donato 100 euro. Spesso internet aiuta, ma non sempre il gradimento che si ha ad esempio su facebook, è proporzionale alle donazioni effettuate. Siamo nell’era del like: molte persone hanno cliccato sul “mi piace” alle mie foto, ma solo una piccola percentuale è poi passata all'azione.
Anche la promozione offline è stata importante. Durante il cammino si incontrano un sacco di persone provenienti da tutto il mondo con i quali ci si scambia esperienze e ognuno racconta la sua storia. La mia ha circolato molto anche grazie al passaparola. Ho incontrato estranei che conoscevano la mia causa, ancora prima di presentarmi e questo mi ha permesso di farmi conoscere al di la delle mie cerchie. Infine, volevo sottolineare il valore aggiunto nel portare sempre il marchio di un’associazione che si batte per la Ricerca sul cancro: ha avuto un effetto promozionale molto forte, parallelo a quello delle donazioni.
Consiglieresti questa esperienza ad altre persone?
Decisamente sì. Durante il cammino incontri persone di tutte le età, ognuno con la sua storia e le sue motivazioni. Si fa il pieno di esperienze e ci si misura con sé stessi. Sono state 30 tappe stupende. Fare contemporaneamente raccolta fondi, inoltre, ti dà una marcia in più, perché si va a toccare delle corde emotive che nella società di oggi vengono spesso trascurate. Ma vedere un’alba in mezzo alla nebbia, in una foresta di eucalipti o un tramonto sulla cattedrale di Burgos, ti ripaga di tutta la fatica.