È iniziato un nuovo anno e con esso si aprono nuove sfide, per noi di Rete del Dono e per tutti i fundraiser. Abbiamo intervistato 4 tra i fundraiser più esperti d’Italia per farci dire in che direzione si muoverà il Fundraising nel 2020, quali sono i trend del nuovo anno che verrà.

Il Fundraising crescerà ancora

Il settore del no profit in questi anni è cresciuto esponenzialmente: “Pensate che pesa sul PIL nazionale il 2% in più rispetto a un settore come la logistica” fa notare Luciano Zanin, CEO di Fundraiser per Passione. “Questo vuol dire che c’è una maggiore consapevolezza dei propri mezzi e delle potenzialità di un atto donativo”.

Il Fundraising, insomma, è destinato a crescere esponenzialmente nel 2020; ma non sempre le organizzazioni sono strutturate a cavalcare il cambiamento, ci dice Elena Zanella, consulente e fondatrice della Fundraising Academy: “Anche in Italia la formazione sul Fundraising è ormai una realtà consolidata, ma manca ancora un po’ di consapevolezza delle organizzazioni, di curiosità da parte del management. Non è sufficiente avere un giovane formato sugli strumenti se alle sue spalle non c’è una struttura che crede in questo ed è pronta eventualmente anche a modificare la propria organizzazione interna”.

Aumentano le realtà piccole e locali

Altra evidenza, secondo Luciano Zanin, è che anche le realtà medio-piccole stanno iniziando a pensare in ottica di Fundraising: “Le organizzazioni più locali si stanno rendendo conto che, se si attrezzano un po’, possono accedere a servizi e risorse prima impensabili. E in proporzione crescono più loro rispetto alle ‘big’: una raccolta fondi da 2-300 mila € può davvero cambiare loro la vita”. In più, la donazione a una realtà locale crea un altissimo valore aggiunto sul territorio, perché interessa tutto il tessuto sociale circostante.

Forte impulso al fundraising culturale

Il legame col territorio è anche la fortuna del fundraising nel settore della cultura, che secondo Massimo Coen Cagli (Direttore scientifico della Scuola di Fundraising di Roma) nel 2020 avrà un forte impulso: “Verso la cultura si rivolge una fetta via via crescente di donatori, privati e aziende: la cultura è un bene comune, la cui salvaguardia ha una ricaduta positiva in primis su una comunità e un territorio ben definito, dove si trova quell’opera o quell’istituzione da sostenere”.

Il grande nome non basta, servono fiducia e relazioni vere

“Siamo in un’epoca di generale crollo della fiducia” sottolinea Massimo Coen Cagli “e questo è un problema per i fundraiser, dato che la fiducia è alla base di qualunque scambio, commerciale e non. La sfida per le organizzazioni è rendersi conto che ormai non basta più la fama di un marchio per generare fiducia: è necessario ricostruire quei rapporti fiduciari tra persone che portano all’atto donativo”. Come quelli classici delle campagne di personal fundraising, in cui è il singolo cittadino, spontaneamente, a farsi garante presso le proprie cerchie di contatti della reputazione dell’organizzazione per cui sta raccogliendo. “E diventa il volto dell’organizzazione senza per forza essere un esperto - spiega Nicola Bedogni, Presidente di Assif - E’ la disintermediazione, che fa tanta paura ai fundraiser perché non è del tutto in loro controllo. Ma è anche la principale risorsa, se guidata, per superare il calo di fiducia: non serve che tu fundraiser sia empatico, convincente, esaustivo nell’informare sulla tua organizzazione: ci pensano i tuoi ‘micro-testimonial’”.

Curare e valorizzare i volontari giovanissimi: il community raiser

In questo quadro il lavoro del fundraiser cambia: non deve più semplicemente raccogliere fondi, ma anche curare una rete di relazioni. Diventa un “community raiser”, per dirla con le parole di Luciano Zanin, in grado di inventare strumenti di attivazione delle persone non solo in ottica raccolta fondi. “Una volta chi donava lo faceva anche per non impegnarsi ulteriormente nella causa - spiega Massimo Coen Cagli - Adesso è diverso: i 18-25 hanno un pensiero sul dono molto più naturale e sfaccettato dei 40-50enni”. È dello stesso avviso anche Elena Zanella: “Le nuove generazioni non vogliono limitarsi a fare i volontari al banchetto: sono disponibili a un investimento nella causa molto maggiore, vogliono incidere e essere protagonisti del cambiamento. Per questo suggerisco lo sviluppo di forme evolute di volontariato: i volontari potrebbero imparare a lavorare di più come dialogatori, efficaci e preparati”. “La forza delle nostre organizzazioni sono le persone - le fa eco Luciano Zanin - nel 2020 sarà importante cominciare a sviluppare diverse competenze nei volontari: anche sul fundraising - perché no? - visto che ad oggi il 96% dei volontari in Italia collabora solo sui servizi”.

Più digitale per favorire le relazioni.

La parola d’ordine dunque è relazioni. Quelle tipiche delle realtà fortemente radicate sui territori, quelle che attivano il passaggio da donatore a fundraiser: “Le persone donano alle persone, non alle organizzazioni” ci ricorda Elena Zanella. “Contano più le relazioni e i volontari attivi che i grandi budget” dice Luciano Zanin, pensando a tutte le organizzazioni più piccole “Però online e offline non sono alternativi, ma complementari. Il web è meno impegnativo, amplifica, crea tanti contatti e ‘stana’ persone che non avresti mai intercettato e in seguito mantiene e fidelizza la relazione. Le grandi realtà fanno bene a investire nel digitale, negli strumenti di massa, in Facebook per fare awareness; ma attenzione che questi non potranno mai sostituire le persone e le relazioni vere, anche perché i grandi donatori tanto sognati non sono online. Se attorno alla nostra realtà girano persone, prima o poi gireranno anche i fondi. Certo che è solo nel lungo periodo che puoi creare valore e relazioni durature, nel breve periodo puoi solo sperare di tirare su 20€ in più”. Ecco la grande domanda che ci pone Elena Zanella per questo 2020: “Vogliamo essere fundraiser di cassa o di prospettiva?”.

E tu quali pensi che saranno i trend del 2020 per il fundraising?