Un anno “diverso” da documentare in un Travel Blog, un viaggio per riscoprire la passione alla base del suo lavoro. È quanto sta facendo Mattia Dell’Era, Digital Fundraising Manager di Fondazione L’Albero della Vita, che con la moglie sta girando il mondo per raccontare i progetti umanitari della sua organizzazione. E, un incontro dopo l’altro, sta anche modificando la sua idea di fundraising.
In fuga dall’ufficio
“Dopo 8 anni nel no profit, mi serviva un cambio di prospettiva” racconta Mattia, attualmente in Brasile. Perché in ufficio la passione rischia di sopirsi, le storie perdono la loro tridimensionalità e si appiattiscono. Per un comunicatore, questa è la cosa peggiore che possa accadere: “Sullo schermo di un PC, i progetti per me diventavano foto, post sui social, appelli per riempire una Newsletter. Sentivo che stavo perdendo il giusto slancio per essere davvero coinvolgente con i donatori: avevo bisogno di riconnettermi con il campo, toccare con mano le situazioni di cui parlavo ogni giorno sui nostri canali digital”.
4 idee per il digital fundraising
Nei suoi video è palpabile l’emozione di incontrare le persone che portano avanti i progetti e i loro beneficiari, magari protagonisti proprio di qualche sua passata comunicazione: “Mi ha colpito molto un progetto in Kenya dove le suore Camilliane vivono in una regione musulmana in una casetta nel deserto senza acqua né elettricità. Ogni giorno fanno il giro del villaggio con un furgoncino per portare i bambini con disabilità nel loro centro, dove fanno attività educative e fisioterapia. C’è bisogno di questo e loro lo fanno, con semplicità e senza chissà quali mezzi”. E dopo simili incontri, la raccolta fondi di Mattia una volta tornato a casa non sarà più la stessa.
1) Fate video!
Sono tante le organizzazioni che ancora non hanno dimestichezza con i video: “Sappiamo che la comunicazione è sempre più visual, ma fino ad oggi come tanti non mi ero mai cimentato. In questo viaggio invece ho sperimentato la potenza dei video, ma anche che non è poi così difficile farli: ho realizzato un video al giorno e alcune clip dirette ai nostri major donors e ci ho preso la mano. Non sono convinto delle Instagram Stories - mi sembra un canale troppo glamour su cui affrontare certi temi - ma in generale mi sono accorto che se il contenuto è interessante, la qualità non è poi così fondamentale. Insomma, l’importante è cominciare!”.
2) Quale digital?
“In giro per il mondo ho visto tante piccole comunità attivarsi, organizzare un evento e raccogliere fondi per una realtà locale. Online spesso mancano queste connessioni che determinano il successo di una raccolta: bisogna ricrearle per poter comunicare ad un ampio pubblico quegli stessi progetti locali in grado di coinvolgere così tanto le persone. Per questo credo vada un po’ ripensato il ruolo che attribuiamo al digital nelle nostre organizzazioni: non può fare tutto. È un canale di acquisizione? Forse per la lead generation, ma per il resto lo vedo adatto per fare brand awareness più che altro”.
3) Osate di più
I fundraiser devono osare di più: “In giro per il mondo ho incontrato tanti sorrisi e la grande forza delle persone: noi fundraiser spesso vorremmo raccontare questo e siamo invece meno a nostro agio con le sofferenze. A gennaio ero in India, in un centro diurno disabili dove le mamme portano i figli facendo anche 20 km di strada. Lì ho conosciuto qualche protagonista delle nostre campagne di fundraising e mi sono accorto che su di loro avrei potuto scrivere molto di più, essere molto più incisivo e realistico nel descrivere la loro condizione. A volte abbiamo un po’ di timore a mostrare le difficoltà, proviamo a impostare le campagne sul sorriso… ma non ho mai visto raccogliere fondi senza un bisogno, un’emergenza. Prima il donatore deve cogliere la necessità, poi arriva il sorriso, quando si trova la soluzione. Non possiamo saltare questo passaggio”.
4) Il valore di una testimonianza
“Dopo questa esperienza, avrò un’energia diversa nel comunicare: quella di chi ci è stato, di chi ha visto e ora è un testimone oculare che non può tacere come stanno davvero le cose” afferma Mattia. Una sicurezza che aiuta a non edulcorare le storie, ma soprattutto a essere molto più attrattivo: “Spesso in ufficio mi scervellavo per trovare la parola giusta, il tecnicismo: ma chi è stato sul campo le parole giuste le trova al volo e ha un magnetismo mille volte superiore. Mi piacerebbe impostare una campagna sulla possibilità di mettere in contatto il donatore con uno che ha visto in prima persona i progetti”.
Chissà che non diventi d’obbligo, nella formazione di un digital fundraiser, una visita ai progetti oltre che un corso di Google Ads.